18 giugno, Oceano Atlantico: un sommergibile diretto all'esplorazione del relitto del Titanic a quasi 4 km di profondità implode causando la morte istantanea dei 5 membri dell'equipaggio, ognuno dei quali aveva speso 250.000 euro per il biglietto firmando per accettazione di poter anche morire (una morte che, afferma un intervistato su Repubblica, lascerà "l'insegnamento alle future generazioni che la vita è curiosità"). E' la tragedia del Titan.
Cosa accomuna queste due tragedie e varie altre divenute oggi, purtroppo, sempre più frequenti? Almeno questo: il divertimento idolatrato fino a sottomettervi tutto, finanche la vita, propria e altrui.
Si rivelano attualissime alcune riflessioni di Blaise Pascal che tutti dovremmo rileggere ogni tanto e specialmente i più giovani (a cui andrebbe fatta conoscere - specie se studenti di filosofia - la sintetica e molto bella lettera apostolica di papa Francesco del 19 giugno 2023, in occasione dei 400 anni dalla nascita del genio francese). Pascal nei Pensieri attacca senza mezze misure quel divertissement (dal latino de-vertere cioè “indirizzare l'attenzione altrove”) sponsorizzato, ad esempio, da un Lorenzo il Magnifico («chi vuol esser lieto, sia: del doman non v'è certezza»). Scrive: «L'unica cosa che ci consola delle nostre miserie è il divertimento, e intanto questa è la maggiore tra le nostre miserie. Perché è esso che principalmente ci impedisce di pensare a noi e ci porta inavvertitamente alla perdizione. Senza di esso noi saremmo annoiati, e questa noia ci spingerebbe a cercare un mezzo più solido per uscirne. Ma il divertimento ci divaga e ci fa arrivare inavvertitamente alla morte». Prosegue: «tutta l'infelicità degli uomini proviene da una cosa sola: dal non saper restare tranquilli in una camera. […] l'unico bene degli uomini consiste nell'essere distolti dal pensare alla loro condizione mediante una qualsiasi attività, o una piacevole e nuova passione che li afferri, oppure mediante il gioco, la caccia o qualche interessante spettacolo e, da ultimo, mediante ciò che si chiama “divertimento”. […] cerchiamo proprio il trambusto che ci distoglie dal pensare e ci diverte. Questa è la ragione per cui si gusta più la caccia che la preda. […] per questo la prigione è un supplizio così orribile; per questo il piacere della solitudine è una cosa incomprensibile. […] Il re è circondato da gente che pensa soltanto a divertire il re e a impedirgli di pensare a se stesso. Perché, se pensa, quantunque re, è un infelice». Infine come non pensare precisamente alle due tragedie sopra ricordate leggendo questa riga? «Corriamo senza curarci del
precipizio, dopo aver messo qualcosa davanti a noi per impedircene la vista».
Dal buttar via la propria vita per vani motivi al dedicarsi alle cose che contano: forse che Gesù in Lc 13,1-5 volesse suggerire anche questo tipo di "conversione"?
E' superfluo ovviamente aggiungere che le "sane distrazioni" sono legittime e doverose! In proposito ecco il pensiero di Tommaso d'Aquino: «per lenire la fatica dell'anima bisogna ricorrere a un piacere, interrompendo la fatica delle occupazioni di ordine razionale. Nelle Collationes Patrum si narra che S. Giovanni Evangelista, poiché alcuni si scandalizzavano per averlo trovato mentre giocava con i suoi discepoli, comandasse a uno di loro armato di arco di lanciare una freccia. E avendo costui fatto questo più volte, gli domandò se poteva ripetere di continuo quel gesto. L’arciere rispose che in tal caso l'arco si sarebbe spezzato. E allora S. Giovanni replicò che anche l'animo si spezzerebbe, se mai gli fosse concesso un po’ di riposo».
Fonti:
LORENZO DE' MEDICI, Canzona di Bacco, vv. 1-4 (opera del 1490 circa).PASCAL B., Pensieri e altri scritti (a cura di AULETTA G.), Mondadori, Milano 2018 (traduzione dell'opera del 1670), nn. 171, 139 e 183.
TOMMASO D'AQUINO, Somma teologica, II-II, 168, 2 co. (traduzione dell'opera del 1267-1273).