Gemma #18: come capire se un atto è moralmente buono?


In questo post forse un po' "tecnico" ma in fondo semplice toccherò il problema centrale della morale: capire con quali criteri è possibile ritenere buono (e dunque da farsi) un atto umano. La Chiesa ci offre in tema la dottrina sulle fonti della moralità, esposta in modo approfondito da Giovanni Paolo II in Veritatis Splendor. Eccola, in estrema sintesi.
Si dice "atto umano" ogni atto realizzato liberamente dalla persona con il concorso di intelligenza e volontà. La libertà entra in rapporto con la coscienza che è il luogo ove risuona in ciascuno la legge morale, il cui primo principio è molto semplice: “Il bene è da farsi, il male è da evitarsi”; principio che per sua natura è vuoto (cioè non dice cosa è bene o male) e innegabile (infatti - come scrive Aldo Vendemiati - a parole può sì essere negato ma solo finendo col contraddirsi: «“A parole” qualcuno potrebbe dire: “Il male è da farsi”; ma se gli si chiedesse di spiegare “perché” il male è da farsi, sarebbe costretto a dire: “Perché è bene”!»). 
Ora, per capire se un atto umano è moralmente buono (o cattivo) occorre scomporlo nei suoi elementi: l'oggetto, l'intenzione e le circostanze. L'oggetto è il fine a cui mira direttamente, è l'azione in se stessa: ad esempio rubare un portafoglio. L'intenzione è il movente sotteso: nell'esempio, arricchirsi. Le circostanze sono elementi accessori: la minore età del ladro. Ecco le conclusioni cui giunge la nostra dottrina:
1) l’oggetto può da solo viziare tutta l’azione se è intrinsecamente cattivo e pertanto ci sono atti che non devono mai essere compiuti: 
tutte le violazioni dei beni supremi della vita (omicidio, aborto, eutanasia, suicidio ecc.), della persona (mutilazione, tortura, violenza, coercizione spirituale ecc.), della dignità (schiavitù, deportazione, prostituzione ecc.);
2) un’intenzione cattiva rende più cattivo un atto dall’oggetto cattivo e trasforma in cattivo un atto dall’oggetto buono; un’intenzione buona rende più buono un atto dall’oggetto buono ma non può mai trasformare in buono un atto dall’oggetto cattivo: con buona pace di Machiavelli il fine non giustifica i mezzi, non si può compiere il male perché ne derivi un bene (come ben sa Gandalf ne Il Signore degli Anelli, e come intuirà anche Faramir);
3) le circostanze (tempo, luogo, effetti ecc.) possono solo rendere più o meno buoni (o cattivi) atti che già di per se sono tali. 
Si può allora concludere affermando, con il Catechismo, n. 1760, che un «atto moralmente buono suppone la bontà dell’oggetto, del fine e delle circostanze».

Fonti:
Catechismo della Chiesa Cattolica, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1992, nn. 1749-1761 (fonti della moralità), https://www.vatican.va/archive/catechism_it/p3s1c1a4_it.htm, 1776-1778 (coscienza), https://www.vatican.va/archive/catechism_it/p3s1c1a6_it.htm, e 1954-1956 (legge morale), https://www.vatican.va/archive/catechism_it/p3s1c3a1_it.htm.
COLOM E., RODRIGUEZ-LUNO A., Scelti in Cristo per essere santi. I. Morale fondamentale, Edusc, Roma 2016, pp. 173-176 e 187-207.
CONCILIO VATICANO II, Gaudium et spes, 7 dicembre 1965, nn. 17 e 27, https://www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/documents/vat-ii_const_19651207_gaudium-et-spes_it.html
VENDEMIATI A., In prima persona. Lineamenti di etica generale, Urbaniana University Press, Roma 2017, pp. 66-67, 74-75 e 209.
WOJTYLA K. (GIOVANNI PAOLO II), Veritatis splendor, 6 agosto 1993, nn. 40-41, 57-61 e 71-83, https://www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/encyclicals/documents/hf_jp-ii_enc_06081993_veritatis-splendor.html.