Ebbene, nel primo film di questa trilogia il saggio vecchio Gandalf dipinge in poche parole la figura e la missione di «quel tipetto saltellante e sbuffante sullo zerbino» che sembra più «un bottegaio che uno scassinatore», cioè lo hobbit Bilbo Baggins, il protagonista dell'avventura... ma suo malgrado (le avventure, per lui, «son cose brutte, fastidiose e scomode! Fanno far tardi a cena!»). Bilbo, come poi Frodo, incarna il santo, l'umile che si riconosce mancante e non conta solo sulle proprie forze ma nemmeno abbandona la partita: «non è il superuomo che ci salva, ma il mezzo uomo, l'uomo monco» - scrive Andrea Monda facendo eco a Jean Daniélou - «l'eroe ci mostra ciò di cui l'uomo è capace; il santo ci mostra ciò di cui è capace Dio. C'è una bella differenza».
Penso che Lo Hobbit non sia minimamente adatto alla visione dei bambini: tuttavia, o genitori, se in questo periodo sembra faticoso negar loro l'annuale razione di mostri e fantasmi, beh, meglio gli orchi de Lo Hobbit che gli spettri di Halloween. A parità di spaventi almeno impareranno qualcosa. Qualcosa di bello, vero, prezioso, per cui valga la pena lasciare l'Ultima Casa Accogliente varcando il Confine delle Terre Selvagge.
Fonti:
MONDA A., John Ronald Reuel Tolkien. L’imprevedibilità del bene, Ares, Milano 2021, pp. 46-49 e 148-152.
TOLKIEN J. R. R., Lo Hobbit (annotato da ANDERSON D. A.), Giunti/Bompiani, Milano 2017 (traduzione dell'opera del 1937), pp. 46, 61-62 e 114-115.